

Scriviamolo senza giri di parole: il vero problema non è
scegliere se votare a favore o contro i quesiti referendari. Il
nodo sta altrove, ed è molto più scomodo.
La politica – tutta, trasversalmente – si è trasformata in un
sistema autoreferenziale, chiuso, opaco. Un meccanismo che non ha
più l’obiettivo di coinvolgere, ma quello di sopravvivere a sé
stesso: tra poltrone, tatticismi, slogan di facciata e mosse
studiate solo per non perdere consenso. In un contesto del
genere, diventa sempre più difficile che le persone competenti,
serie, dotate di senso critico decidano di mettersi in gioco. Non
perché manchino idee o strumenti. Ma perché il sistema non li
accoglie. Li espelle.
È una visione amara, certo. Gattopardiana. Ma, purtroppo,
realistica. E i dati sull’affluenza lo dimostrano: la fiducia è ai
minimi storici.
E oggi? C’è chi – per convenienza – prova a far passare l’idea
che l’astensione sia comunque una forma di espressione politica.
Che non votare, in fondo, sia un modo per dire la
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