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Legge di Bilancio, ecco quello che Draghi deve cambiare – Domani

La legge di Bilancio arriva martedì 16 novembre al Senato, l’unica camera che se ne occuperà davvero a causa dei ritardi con cui il governo l’ha presentata, accolta da un coro di partiti che si appellano alla responsabilità gli uni degli altri per non trasformare la discussione sulla finanziaria in una guerra interna alla maggioranza.

Il segretario del Pd, Enrico Letta, ha chiesto un patto per evitare l’assalto alla diligenza e ha incassato il sì del segretario della Lega, Matteo Salvini, e di Forza Italia, per bocca di Annamaria Bernini.

La capogruppo del Pd Simona Malpezzi ha proposto intanto un incontro tra i capigruppo di maggioranza per individuare un metodo e arrivare a proposte migliorative sulla manovra. Il Senato ha un margine di manovra reale di circa 600 milioni di euro ma le cose da migliorare sono molte, proprio perché la legge di Bilancio è un tentativo assai poco riuscito di pacificare la maggioranza.

Il superbonus

Nonostante il governo Draghi abbia rimodulato la spesa per l’ecobonus al 110 per cento, prorogandolo al 2023 solo per i condomini e inserendo un tetto agli interventi sulle abitazioni unifamiliari a 25mila euro di reddito equivalente (Isee), la misura resta criticata dal punto di vista dell’equità e anche della transizione ecologica, visto che ci sono altre detrazioni generose per le ristrutturazioni degli edifici. Avendolo presentato come un regalo – «gratis», ripeteva Giuseppe Conte in ogni piazza – gli altri ministeri che dovrebbero essere competenti se ne stanno praticamente disinteressando. Il M5s si è anche reso conto che non sono state previste norme anti incendio aggiornate e stringenti per gli interventi di isolamento, tanto che ha proposto un emendamento ad hoc al decreto Infrastrutture proprio per rimediare, vista la quantità di fondi investiti negli interventi sulle facciate (a fine ottobre 10 miliardi, dati Enea).

Pensioni

Poi ci sono le pensioni con quota 102, cioè la possibilità di andare in pensione a 64 anni e 38 anni di contributi, la proroga di Opzione Donna, riservata solo a chi ha carriere lavorative tali da determinare un certo livello di contributi, e l’allargamento dei lavori usuranti per cui è prevista la flessibilità in uscita sono tre misure con un fattore comune: non hanno nulla di universalistico. Sono destinate a gruppi specifici, alcuni casuali – la pattuglia di lavoratori che potrà andare in pensione con quota 102 – altri determinati da valutazioni di maggiore merito – a cui la fiscalità generale destina 600 milioni di euro.

Reddito di cittadinanza

Il reddito di cittadinanza è il fronte su cui sono stati fatti più pasticci, in nome di una guerra ideologica ai beneficiari, cioè i poveri, trattati da criminali, da “furbetti” o da “incapaci”, come ha scritto il comitato di esperti chiamati dal ministero del Lavoro a valutare la misura. Oggi chiediamo a un povero di accettare al secondo tentativo una offerta di lavoro in tutto il territorio nazionale, pena la decadenza dell’assegno, gli chiediamo anche di dare la disponibilità immediata al lavoro e di andare ogni mese ai centri per l’impiego, anche se in molte regioni non funzionano.

La denuncia dei “furbetti” copre tutto, anche la notizia che l’Agenzia delle entrate ha denunciato frodi sull’ecobonus per 950 milioni di euro, altro che le truffe sul reddito. Il problema non affrontato della misura anti povertà è che sono esclusi o penalizzati i più bisognosi, stranieri e famiglie numerose. E però allargare la platea a risorse ferme significherebbe diminuire l’entità dell’assegno, non proprio una buona pubblicità per i Cinque stelle. La Lega e Forza Italia hanno fatto il resto per congelare il problema, mentre il Pd non è ben chiaro cosa pensi della questione.

Alla fine la modifica che avrebbe permesso di evitare il disincentivo al lavoro, prevedendo che il reddito da lavoro conti solo per l’80 per cento nella determinazione dell’assegno, è saltata. Così, mentre il governo promette di razionalizzare il sistema fiscale, ma mantiene il forfait per gli autonomi, a cui viene riservato un trattamento fiscale che non ha nulla che vedere con l’equità, anche il reddito di cittadinanza resta fortemente irrazionale dal punto di vista fiscale. Il tutto mentre alla formazione dei giovani neet, quelli che non studiano e non lavorano, per i centri dell’impiego sono destinati meno di 100 milioni di euro l’anno.

Il metodo

Ora i partiti dicono che a loro serve un metodo per non trasformare la finanziaria nella resa dei conti pre-partita del Quirinale. Ma questa manovra è esattamente il frutto del compromesso tra le forze di maggioranza. E non vale nemmeno il discorso di Letta sull’evitare l’assalto alla diligenza: qui non si tratta di un problema di conti da tenere sotto controllo, ma di come vengono spesi i soldi in uno dei pochi momenti in cui ci sono soldi da spendere.

La promessa di fare soltanto «debito buono» fatta da Mario Draghi all’inizio del suo mandato da presidente del Consiglio è già stata ampiamente dimenticata.

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