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Superbonus, bonus edilizi e blocco della cessione dei crediti – Condominio Web

All’inizio, per come era stato frettolosamente pensato, il Superbonus 110% era un meccanismo perfetto, senza precedenti in termini di efficacia e di convenienza. Un vero e proprio elettroshock per l’economia italiana e per il settore delle costruzioni.

Come funziona (o, a seconda dei punti di vista, come doveva funzionare) ormai lo sappiamo tutti. Gli articoli 119 e 121 del decreto rilancio (DM 34/2020) prevedono che, per ogni 100 euro di costo dei lavori di ristrutturazione di un immobile, al verificarsi di determinate condizioni, il contribuente matura 110euro di crediti fiscali, detraibili direttamente dalla dichiarazione dei redditi (in un certo numero di anni) o, in alternativa, cedibili a banche o a intermediari finanziari.

Quel 10% in più rappresenta (o doveva rappresentare) un potente motore in grado di far circolare questa “nuova moneta”.

E all’inizio così è stato, ma poi qualcosa è andato storto.

I bonus fiscali cedibili

La cosiddetta “opzione alternativa” alla detrazione diretta in dichiarazione dei redditi, ovvero la possibilità di cessione dei crediti fiscali alle banche, non si applica solo al Superbonus 110% ma anche ad altri bonus edilizi “minori”, tra i quali ricordiamo:

  • il bonus ristrutturazione edilizia [art. 16-bis, comma 1, lettere a), b) e d), del d.P.R. n. 917/1976 (TUIR) o anche art. 16, comma 1 del D.L. n. 63/2013];
  • l’ecobonus [art. 14 del D.L. n. 43/2013];
  • il sismabonus [art. 16, commi da 1-bis a 1-septies del D.L. n. 63/2013];
  • il bonus fotovoltaico [art. 16-bis, comma 1, lettera h) del TUIR];
  • il bonus facciate [art. 1, commi 219 e 220, della legge 27 dicembre 2019, n. 160];
  • il bonus barriere architettoniche [art. 119-ter del D.L. n. 34/2020].

Cosa è accaduto

L’interesse del settore è stato subito attratto dalla cessione dei crediti fiscali agli intermediari finanziari, poiché permette di monetizzare subito l’operazione, a differenza di quanto avviene con la detrazione diretta, che porta alla concretizzazione dei crediti in vari anni, variabili a seconda della tipologia dei bonus.

La detrazione diretta richiede anche una sufficiente “capienza fiscale” per effettuare la compensazione, che non è da tutti.

Qualcosa però è andato storto. A seguito delle note truffe sui bonus edilizi da parte di alcune organizzazioni malavitose, il Governo ha pensato bene di cambiare le regole in corsa per la cessione del credito e per lo sconto in fattura, rendendole molto più restrittive.

Ma non lo ha fatto in una volta sola, bensì mediante numerosi interventi correttivi (decreto antifrodi in primis) che, oltre a complicare le cose a discapito dei cittadini e degli operatori onesti (la maggior parte), hanno creato una confusione normativa senza precedenti.

Così, se inizialmente lo scambio dei crediti fiscali era libero e illimitato (fin troppo), oggi è consentito un numero massimo di 4 cessioni e solo a determinate condizioni, secondo il seguente schema:

  • la prima cessione è libera, ovvero può essere effettuata verso qualunque soggetto (jolly)
  • la seconda e la terza possono esser fatte solo a soggetti qualificati vigilati da Banca d’Italia (banche, intermediari finanziari e assicurazioni)
  • a quarta solo da banche e intermediari verso i loro correntisti (clienti professionali).

La situazione della cessione dei crediti

Le banche più importanti (e figurarsi le piccole) hanno esaurito i plafond e stanno comunicando ai clienti di non poter più sottoscrivere nuovi contratti di cessione dei bonus.

Il rischio maggiore è quindi per le imprese edili chiamate ad effettuare il cosiddetto “sconto in fattura”, che potrebbero non riuscire più a cedere i crediti fiscali acquisiti, soprattutto nel caso di lavori di una certa entità, come quelli condominiali.

Così, oggi, pochissime imprese (e pochissimi professionisti) sono disposte a iniziare nuovi lavori se non ci sono sostanziosi anticipi da parte dei committenti.

Nel caso in cui non ci sia un soggetto organizzato per effettuare lo sconto in fattura, il condominio sarà costretto ad anticipare l’intero importo dell’intervento. Successivamente, ogni condòmino dovrà cedere il proprio credito maturato ad una banca, nella speranza che nel frattempo le regole siano cambiate e che le banche abbiano riaperto i canali di acquisizione.

Se ciò non accadrà, i condòmini potranno detrarre i crediti nella propria dichiarazione dei redditi, con l’ulteriore rischio che non tutti abbiano sufficiente capienza fiscale (come i pensionati o i percettori di bassi redditi). In tale circostanza il credito andrà inevitabilmente perso.

Aumento dei costi finanziari

Le restrizioni alla cessione del credito hanno anche provocato un effetto speculativo sui costi finanziari della cessione. Proprio in virtù della scarsità di acquirenti questi costi sono aumentati, andando oltre quel dieci per cento che “in tempi di pace” erano sufficienti a remunerare chi acquistava il credito.

Per fare un esempio, se oggi si cede un credito pari a 1.000.000 di euro derivante da Superbonus (e quindi con valore virtuale pari a 1.100.000) oggi un istituto di credito è disponibile a pagarlo mediamente 990.000 euro, con tendenza al ribasso. Quindi il condominio dovrà integrare di tasca propria 10.000 euro.

Di fronte a questa situazione il consiglio è quello di non fermarsi, ma di effettuare gli interventi realmente necessari per l’efficientamento degli edifici.

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