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La Toscana si muove, 218 scosse di terremoto in 15 giorni – Giornale della Protezione civile

La maggior parte registrate solo dalle strumentazioni, le due più forti, con una magnitudo pari a 3.7 sono state registrate il 3 e il 12 maggio, epicentro in entrambi i casi Impruneta. Impossibile studiare le faglie coinvolte perché, con questo ordine di magnitudo, non emergono in superficie ma rimangono sommerse

Da nord a sud l’Italia è tornata a tremare ed è soggetta a una sequenza sismica che sta interessando Toscana e, in parte, Sicilia. La zona più colpita negli ultimi giorni è quella del Chianti Fiorentino, circa 10 chilometri da Firenze. Dal 2 maggio, quando è iniziata la sequenza sismica, sono state localizzate 218 scosse, molte delle quali solo strumentali e captate dalle stazioni temporanee installate dal gruppo operativo SISMIKO, il Coordinamento delle reti sismiche mobili in emergenza dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). Quelle più forti, di magnitudo superiore a 3, e avvertite dalla popolazione, sono state quattro. L’ultima è stata registrata il 12 maggio alle 23.12, magnitudo 3.7 ed epicentro Impruneta a una profondità di circa 8 chilometri. Gente in strada e tanta preoccupazione ma, per fortuna, nessun danno a persone o lesioni gravi a edifici. Contemporaneamente anche la Sicilia torna a bussare con due scosse avvertite distintamente lo scorso fine settimana, 3.8 al largo delle Eolie e 3.6 a Lampedusa, nonché varie esplosioni sullo Stromboli. Tra gli eventi non c’è ovviamente correlazione ma per capirne di più abbiamo sentito Riccardo Martelli, presidente dell’Ordine dei geologi della Toscana e Carlo Meletti, sismologo, direttore della sezione di Pisa dell’Ingv. 

Nessuna correlazione tra i terremoti in Toscana e quello in Sicilia
Cominciamo subito con lo sfatare un mito difficile da eradicare, scosse di terremoto che colpiscono contemporaneamente due regioni italiane lontane tra loro, possibile non c’entrino nulla l’una con l’altra? Sì, possibile. “Gli eventi non sono assolutamente collegati – spiega Carlo Meletti – esiste, è vero, un’interazione tra faglie ma questo si può verificare quando si trovano a poca distanza: Penso ad esempio al terremoto dell’Emilia, le due scosse del 20 e del 29 maggio 2012, sono avvenute su due faglie una attaccata all’altra e, magari, la seconda non si sarebbe rotta il 29 maggio se non ci fosse stata quella del 20. Dunque a questa distanza la correlazione può esistere e si studiano gli effetti di innesco tra una faglia e l’altra ma a distanze maggiori no. Escludo categoricamente l’effetto domino sulle grandi distanze”.

“Sciame” o “Sequenza”?
“Per sciame si intende una sismicità diffusa senza che ci sia una scossa più forte di tutte le altre. In questo caso siamo in una via di mezzo, ci sono state scosse un po’ più forti ma più di una. Ecco perché, personalmente, parlerei di sequenza perché soprattutto dopo la prima scossa di 3.7 si è avuta tutta una serie di repliche di cui alcune più forti delle altre” dice Meletti. 

Evoluzione della sequenza sismica, quali previsioni?
“Ovviamente non siamo in grado di dire nulla di preciso e definitivo, noi ci basiamo sulla statistica e sull’osservazione del passato per capire quali possano essere gli scenari ma ovviamente senza prevedere nulla di certo. – Dice ancora Meletti – Sappiamo che sequenze di questo tipo ne avvengono circa una decina l’anno e che, nel 90-95% dei casi, finiscono così come sono iniziate però poi ci sono casi di sequenze che si evolvono purtroppo con una scossa molto più forte, pensiamo al caso più eclatante de L’Aquila. Non si può fare una previsione attendibile”.

Che sta succedendo alle faglie toscane?
“Non si sa molto di queste faglie perché, con questo ordine di magnitudo, non arrivano in superficie, sono sepolte ed è difficile per l’Ingv e il Dipartimento di Scienze della Terra di Firenze studiarle” spiega Riccardo Martelli che precisa: “Dai dati indiretti in nostro possesso sappiamo che si sono attivate faglie antiappenniniche cioè faglie dirette ortogonalmente rispetto all’andamento degli Appennini quindi nordest – sudovest, mentre le faglie appenniniche sono nordovest – sudest”.

Nel “sentire comune” non si pensa alla Toscana come regione sismica
“Sì, questo è un altro aspetto da tenere in considerazione. Nel 1959 un terremoto colpì praticamente le stesse località interessate dalla sequenza attuale ma di questo evento non c’è quasi più memoria storica. Gli abitanti di quelle località o di Firenze, dove fu avvertito distintamente, non se ne ricordano più e sono passati solo 63 anni. Questo è un problema che esiste dappertutto, dopo qualche decennio si perde la memoria dell’ultimo terremoto e quindi si pensa di vivere in una zona non sismica” dice Meletti. “Quella è una zona che ha avuto una crisi sismica già nel 2014 e dove si è originato anche il terremoto del 1895 che fece danni nel Chianti Fiorentino e a Firenze, ci furono anche vittime nella zona di Bagno a Ripoli, che è un comune confinante con Impruneta. Ecco perché tutto ciò che è successo dopo, nella pianificazione territoriale, ha tenuto conto delle caratteristiche della zona” dice Martelli. 

Occhi puntati su Firenze
Il capoluogo di regione, con la sua rilevanza storica e artistica, è sotto i riflettori e chiediamo a Meletti la sua collocazione nel panorama sismico: “Si trova in una zona a media pericolosità sismica perché sta tra Mugello a Nord e il Chianti fiorentino a Sud. Il Mugello storicamente ha avuto terremoti molto forti, penso a quello del 1919 di magnitudo 6.2 con parecchie località distrutte. E poi ci sono terremoti subito a Sud che producono effetti più deboli, penso a quello del 1895 sempre nella zona di Impruneta. che ha avuto una magnitudo di 5.5 e che fece danni anche a Firenze città”.

Una sequenza sismica ci mette al riparo da scosse più violente?
“Questo è un terreno accidentato, la verità è che è imprevedibile, sull’argomento si può dire tutto e il contrario di tutto” ci dice Martelli. “Quello che si può fare – continua – è prendere i dati storici, che ci dicono che in questa zona si verificano terremoti di magnitudo intorno a 5 e che le sequenze sono seguite da eventi minori. Esattamente ciò che successe nel 2014. Il problema è che durò qualche mese e allora il problema divenne più psicologico che strutturale ma non per questo meno importante. La gente rimane impressionata e si rende conto che non ci sono danni, nessuno si è fatto male, però rimane questo choc che è difficile metabolizzare, è una paura profonda che si esorcizza parlandone ma le rassicurazioni che si chiedono a tecnici e politici è di farsi trovare pronti e far sì che la progettazione si basi su modelli geologici e geotecnici adeguati. Perché si sa come e dove succederà ma non si sa quando, ed ecco che bisogna cercare di adeguare il più possibile le strutture”.

Cosa è stato fatto e cosa resta da fare
“Dall’inizio degli anni 2000 Regione Toscana ha avviato progetti per lo studio del territorio finalizzato alla microzonazione quindi ha finanziato molti studi di vulnerabilità sismica di edifici pubblici, penso a scuole ed edifici strategici. Poi ha finanziato interventi di miglioramento sismico o di adeguamento sismico molto è stato fatto ma il problema rimane l’edificato privato” spiega Martelli che dice ancora: “Noi come ordine regionale, quando è venuto fuori il Sismabonus, abbiamo promosso un emendamento, che purtroppo si è bloccato in Commissione al Senato, per caldeggiare interventi di studio della vulnerabilità sismica. Per quanto sia una misura importante, infatti, il Sismabonus promuove interventi spot, non prevede una pianificazione, una progettualità a lungo termine. Invece ciò che promuovevamo noi, finanziando interventi di verifica sulla vulnerabilità sismica, avrebbe consentito di mappare e di avere un quadro chiaro degli interventi di miglioramento per il futuro, anche guardando oltre l’orizzonte 2023, quando terminerà la misura. Prendiamo l’edificato di Firenze, l’80% è stato realizzato prima dell’entrata in vigore delle norme sismiche, certo non crollerà al primo terremoto ma sicuramente deve essere verificato. Se ci si vuole mettere in sicurezza c’è tanto da fare e da finanziare”.

Il problema italiano delle strutture datate
Se non si possono prevedere nuove scosse, o l’andamento della sequenza in corso, si può certamente parlare di prevenzione e di azioni corrette da seguire. “Con l’iniziativa ‘Io non rischio’, insieme a Protezione civile e pubblica assistenza – dice Meletti – facciamo un’azione di informazione sui comportamenti da tenere quando c’è un terremoto. Il problema più grave in Italia è che abbiamo edifici molto vulnerabili e ognuno dovrebbe preoccuparsi di sapere se la propria abitazione è sicura rispetto alla pericolosità sismica del comune sulla quale ricade. Questo richiede l’intervento di ingegneri e strutturisti che sono in grado di fare queste valutazioni. Abbiamo un patrimonio edilizio vecchio e in molte zone anche di più recente costruzione, penso al boom economico degli anni ‘60-70, non era ancora classificato come sismico quindi non è stato adottato alcun criterio antisismico nella progettazione di questi edifici, magari sono sicuri ma una verifica andrebbe fatta”.

Katia Ancona

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