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Piano Voucher verso la “Fase 2”: tutti i problemi da risolvere – Agenda Digitale

Piano Voucher verso la “Fase 2”: tutti i problemi da risolvere | Agenda Digitale

banda larga

Il piano voucher per incentivare la domanda di connessioni a banda larga ha presentato diverse criticità che, oltre a generare problemi di concorrenza, ne hanno – di fatto – ridotto finora l’efficacia. Ecco dove intervenire per sanare le distorsioni

6 secondi fa

Vincenzo Lobianco

Già consigliere per l’innovazione tecnologica dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni

Photo by Michael Dziedzic on Unsplash

Non ha riscosso il successo sperato il cosiddetto “Piano voucher” a sostegno della domanda per la connessione alla banda larga (l’intervento era stato già previsto tra le iniziative BUL), avviato in un momento, primavera del 2020, in cui il lockdown aveva reso necessario convertire in remota buona parte delle attività lavorative (smart working) e scolastiche (Didattica a Distanza o DAD).

E la Commissione UE ha chiesto di rivedere le regole della seconda fase, quella rivolta a imprese e cittadini fino a ISEE 50mila euro, per un possibile rischio antitrust; del resto il 75% del primo voucher è stato accaparrato da Tim.

Vedremo di seguito tutte le criticità che hanno interessato la prima fase del piano, con l’auspicio che la preparazione della Fase 2 sia l’occasione per rivedere e migliorare il meccanismo di assegnazione dei voucher, dando all’utente la possibilità di scegliere i contratti e le apparecchiature più confacenti alle proprie necessità evitando i bundle predisposti dal solo operatore di telecomunicazioni.

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Indice degli argomenti

Politiche di sostegno della domanda e piano voucher

Le politiche di sostegno della domanda hanno riscosso notevole interesse negli ultimi anni in quanto si è capito che il sostegno allo sviluppo industriale non poteva essere basato solo sugli incentivi all’infrastrutturazione ma avrebbe dovuto riguardare anche il versante degli acquisti di prodotti e servizi. Ne è derivata una lunga serie di interventi culminata, lo scorso anno, con i bonus vacanze e mobilità elettrica.

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Il piano voucher è stato avviato lo scorso anno in pieno lockdown quando sono emerse le difficoltà per le famiglie italiane, in particolare quelle a basso reddito, di connettersi a servizi di accesso di velocità adeguata alle nuove necessità e di avere a disposizione strumenti per accedere allo smart working o alla DAD quali PC o tablet.

La misura ha quindi avuto la sua approvazione ufficiale, dopo le necessarie autorizzazioni comunitarie per i profili relativi agli aiuti di Stato, dal Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE) con il decreto ministeriale del 7 agosto 2020 “Piano voucher per la connettività in banda ultra larga” (Fase 1) che ha previsto una dotazione finanziaria di 200 milioni di euro, al netto del rimborso delle spese per la gestione dell’intervento, affidata a Infratel. Oggetto della misura è la fornitura di un contributo fino a 500 euro alle famiglie con reddito ISEE inferiore a 20.000 euro annui da utilizzare in forma di sconto sul prezzo di vendita di un abbonamento di minimo 12 mesi a un servizio di connessione a internet in banda ultra-larga, ossia ad almeno 30 Mb/s in download, includendo anche gli eventuali costi di attivazione. Il contributo è inoltre utilizzabile per la fornitura della CPE, ossia del modem/router casalingo e di un tablet o personal computer.

L’intervento risulta essere quindi non a pioggia, come quello per la mobilità elettrica, ma destinato alle famiglie meno abbienti, con precisi vincoli per la tipologia dei servizi e dei dispositivi finanziabili e per le relative modalità di fornitura. Infatti, il decreto fornisce indicazioni dettagliate sulle caratteristiche minime dei servizi a banda ultra-larga suscettibili di incentivo e sulle modalità e requisiti soggettivi per accedervi, demandando tuttavia ad una convenzione con Infratel la definizione di tutti i dettagli per la realizzazione del Piano voucher. La convenzione, che deve essere approvata dal MiSE, include tra gli altri documenti il Manuale Operativo e i suoi allegati che forniscono i dettagli fondamentali per l’implementazione della misura. Cosa prevede il Manuale?

Innanzitutto, l’ammontare di 500 euro viene ripartito tra il contributo per la sottoscrizione alla linea a banda ultra-larga, che deve valere almeno 200 euro, e quello per il tablet o il pc per un valore compreso tra i 100 e i 300 euro. La CPE non viene specificatamente menzionata e pertanto il suo acquisto non può essere incentivato mentre i dispositivi acquistabili con il contributo devono soddisfare i requisiti minimi specificati in un allegato al Manuale stesso. Il contributo è usufruibile solo attraverso l’operatore di comunicazione elettronica che offre sia il servizio di accesso ad internet a banda ultra-larga sia il pc o il tablet, il quale diviene proprietà del cliente solo allo scadere del primo anno di attivazione.

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Le criticità nell’attuazione della misura

Da questa sintetica elencazione dei dettagli della modalità di fornitura emergono potenziali criticità nell’attuazione della misura che, oltre a generare problemi di concorrenza, ne hanno -di fatto – ridotto finora l’efficacia.

Retailer e piccoli operatori penalizzati

In primo luogo, l’unico soggetto abilitato a fornire i dispositivi all’utente è l’operatore di comunicazioni elettroniche. In questo modo vengono tagliati fuori i negozi e le catene di vendita al dettaglio di elettronica di consumo, determinando di fatto una disparità competitiva tra gli operatori e il sistema di vendita al dettaglio. Si sottraggono in questo modo alla concorrenza circa 400 mila dispositivi potenziali per un ammontare, relativamente al solo contributo statale, di 80 milioni di euro ma in realtà ben più alto se si considera il prezzo di vendita degli apparati nei negozi retail. Allo stesso tempo viene ridotta la possibilità di scelta del dispositivo da parte del cliente che può solo aderire a un limitato numero di offerte dell’operatore, senza poter confrontare tra più modelli o beneficiare della concorrenza di prezzo tra i negozi retail. Sulla proposta dei dispositivi selezionabili dal cliente ha forse poi contribuito il contenuto delle specifiche minime in allegato al Manuale Operativo che appaiono non sempre coerenti tra loro, proponendo caratteristiche non facilmente rinvenibili sul mercato e comunque non direttamente necessarie allo scopo (smart working o DAD) che si era prefissato. Trattandosi di un contributo pubblico, è grave quindi che da una parte non sia stata applicata una neutralità per così dire “commerciale” e dall’altra parte che il cittadino sia stato privato di quella flessibilità che invece è stata fornita in altre iniziative quali ad esempio quella relativa alla mobilità elettrica.

L’accorpamento tra la vendita di servizi di connettività e di dispositivi ha anche creato problemi agli operatori di minori dimensioni che normalmente non hanno strutture e servizi dedicati all’ acquisizione e vendita di prodotti e che quindi si sono trovati in difficoltà a proporre offerte competitive con quelle dei grandi players.

Anche in riferimento alla questione della CPE, il Piano voucher presenta significativi problemi. Infatti, seppur non espressamente indicato dal decreto ministeriale, il Manuale Operativo non prevede che la CPE sia finanziabile con il contributo ma viene considerata di fatto come accessoria al servizio di connettività. Il cliente può dotarsi di un proprio modem e a tale scopo è prevista una voce nella domanda di ammissione al contributo ma rimane comunque non incentivabile e le offerte “Piano voucher” degli operatori non propongono una riduzione di prezzo in caso di rinuncia al modem. Questo evidentemente disincentiva il cliente a optare per una differente CPE e di fatto sottrae alla concorrenza un’altra importante quantità di apparati (fino a 400.000) che avrebbero potuto essere forniti dai retailer. Questa modalità ha quindi disincentivato il cliente dalla possibilità di scegliere la CPE più adatta alle proprie esigenze e seppur formalmente non illegittima, non appare completamente coerente con il principio della libertà di scelta del modem stabilita dalla disciplina comunitaria e applicata dal regolatore nazionale.

La pratica attuazione del Piano, pur ponendo in essere significative criticità concorrenziali e generando un notevole contenzioso amministrativo successivo all’adozione della misura, non sembra poi aver garantito il successo dell’iniziativa, almeno nella misura prevista. Al momento, dopo oltre 6 mesi dall’avvio, è stato utilizzato circa il 45% del contributo, risultato questo non particolarmente soddisfacente alla luce della situazione nazionale in termini di reddito e di diffusione dell’accesso a internet. Peraltro, è risultato che oltre il 75% dei contributi è andato al principale operatore nazionale, circa il 20% a tre grossi operatori e solo il 4% a circa 90 operatori.

Si ha ragione quindi di affermare che la Fase 1 ha mostrato diverse criticità, dovute verosimilmente al tentativo di conciliare due obiettivi distinti e suscettibili di entrare in conflitto in sede di implementazione: da un lato, quello di perseguire la finalità originaria di promuovere la domanda di connessioni a banda ultra-larga ma, dall’altro, quello di soddisfare urgentemente le pressanti esigenze di connettività (in primis, la DAD) conseguenti alla fase epidemica. La natura emergenziale ed urgente della Fase 1 ha fatto sì che non sia stato possibile recepire e bilanciare tutti i numerosi interessi coinvolti.

Il forzato abbinamento tra servizi internet e dispositivi

Il punto più critico appare essere quello del forzato abbinamento tra servizi internet e dispositivi e da cui è scaturito un regolamento che da un lato, ha reso difficile per la maggior parte degli operatori trovare prodotti tecnologici da abbinare al servizio di connettività e dall’altro lato ha limitato la libertà di scelta degli utenti, in pregiudizio anche dei tradizionali canali di distribuzione dell’elettronica di consumo. Per quanto riguarda poi la CPE, nonostante l’ormai affermato principio del “modem libero” sancito dal regolatore (AGCOM), le offerte commerciali proposte con il Piano Voucher hanno annullato qualsiasi beneficio economico per l’utente che desiderasse utilizzare un proprio apparato.

Compatibilmente con le esigenze di celerità e di verifica, si potrebbe ad esempio prevedere l’attribuzione diretta agli utenti del voucher, rendendoli poi liberi di acquistare liberamente sul mercato i beni e i servizi in esso rientranti. Come già anticipato, vi sono state, anche recentemente, diverse misure di sostegno così strutturate (bonus docenti, bonus mobilità elettrica, bonus TV) che hanno dimostrato la validità e l’efficacia di tale modalità di erogazione dell’aiuto pubblico.

Verso la Fase 2

La fase 2 prevede un finanziamento di oltre 900 milioni di euro che sarà rivolto a famiglie e PMI, con l’innalzamento del limite ISEE per le famiglie con Isee fino a 50.000 euro per un potenziale numero di beneficiari stimato di 2,2 milioni tra famiglie e PMI. Continuare il Piano voucher con le regole della Fase 1 aumenterebbe, in maniera ben più significativa gli effetti distorsivi evidenziati per questa Fase.

Al termine della preparazione di questo articolo è giunta la notizia che la Commissione europea, dopo oltre cinque mesi dalla pre-notifica della Fase2, ha mosso dei rilievi sul progetto della misura richiedendo alcune modifiche. Al momento non è dato sapere quali siano i rilievi e le modifiche richieste. Si può immaginare, con un minimo di presunzione, che le stesse criticità evidenziate in questo articolo siano state segnalate anche dalla Commissione.

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