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Superbonus 110%: la misura che ha messo a rischio l’edilizia – Lavori Pubblici

Il Superbonus 110% è stata la peggiore delle sciagure che un
Paese e la sua economia potessero augurarsi. Già solo il titolo di
questo articolo potrebbe spiazzare e questa prima affermazione
potrebbe far saltare qualcuno sulla sedia. Come sempre, mi auguro
che chi legge sia disposto ad arrivare in fondo all’articolo prima
di trarre le sue conclusioni.

I bonus edilizi

Il settore delle costruzioni ha un sistema che regola i bonus
edilizi formato da tante norme molto diverse tra loro, pubblicate
in momenti storici differenti (a proposito, è stata pubblicata in
Gazzetta Ufficiale una proposta di legge di iniziativa popolare per
la redazione dell’atteso “Testo unico in materia di detrazioni
fiscali in edilizia”).

Bonus edilizi che, complice la tendenza italica a preferire uno “sconto” diretto, immediato e spesso “all black”, non sono mai
decollati del tutto, riuscendo comunque a tenere a galla il mondo
dell’edilizia che dal 2008 vive una fase di recessione senza
precedenti. Non a caso il mercato della ristrutturazione è
ampiamente superiore a quello delle nuove costruzioni.

In un momento storico molto particolare (la pandemia), il
Governo M5S-PD con Giuseppe Conte come Premier, ha uscito dal
cilindro una misura innovativa, con l’obiettivo di provocare un
vero e proprio shock all’economia reale, puntualmente arrivato,
come dimostrano i dati dell’ultimo biennio.

Il meccanismo delle opzioni alternative

Ma attenzione, non sto parlando delle detrazioni fiscali del
110%, il cosiddetto Superbonus. Il vero motore che ha sorretto
l’economia ha un nome e cognome, ovvero “opzione alternativa”, il
meccanismo di cessione del credito messo a punto con l’art. 121 del
Decreto Legge n. 34/2020 (Decreto Rilancio). Un sistema “perfetto”
nella sua semplicità, che ha consentito la libera circolazione dei
crediti edilizi che si sono trasformati in moneta virtuale da
scambiare, con un profitto per chi acquista. Un sistema che ha
consentito agli incapienti e chi non aveva liquidità di avviare
interventi che altrimenti non avrebbero mai realizzato.

Opzioni alternative che in prima battuta erano state calibrate
per il superbonus 110% ma che sono state estese alle altre
detrazioni fiscali senza (evidentemente) quella necessaria
consapevolezza e conoscenza degli effetti che avrebbe avuto non
tanto sull’economia, quanto sulla “cultura italica”. Non è un
mistero (e l’Agenzia delle Entrate lo ha ricordato molto bene) che
il meccanismo delle opzioni alternative è stato anche il vero
motore delle frodi fiscali che hanno interessato i bonus edilizi
senza alcuna forma di controllo, bonus facciate in testa.

Le modifiche in corso d’opera

Scovati i primi “furbi”, il Governo ha intrapreso un percorso di
modifica avviato con il Decreto Legge n. 157/2021 (Decreto
antifrode) e che ancora non vede via d’uscita. Un percorso che
l’esecutivo ha cercato di giustificare con alcuni slogan:

  • “il superbonus genera frodi”, quando le frodi sul superbonus
    rappresentano il 3% delle complessive e appena l’1% del totale
    relativo al 110%;
  • “il superbonus ha triplicato i costi”, mentre l’indice dei
    prezzi delle costruzioni ha evidenziato che l’aumento dei costi dei
    materiali è un fenomeno globale, diffuso in tutti i Paese UE e che
    l’Italia si posizionerebbe al di sotto degli altri in cui non
    esistono bonus edilizi.

Cosa fare, quindi, per bloccare il superbonus 110%? Non avendo
potuto nulla contro la decisione del Parlamento di prorogare le
scadenze con la Legge di Bilancio 2022, il Governo ha deciso di
affilare le armi intervenendo proprio sulle opzioni
alternative.

Ed è su queste, e quindi sull’art. 121 del Decreto Rilancio, che
sono arrivate le modifiche apportate:

5 provvedimenti che in meno di 5 mesi hanno modificato 4 volte
il meccanismo delle opzioni alternative con un unico vero
risultato: generare incertezza e ingessare nuovamente il mercato,
che si è trovato vittima di sé stesso.

Gli effetti

Nonostante una normativa poco chiara (12 modifiche normative nel
biennio 2020-2021), il settore aveva retto molto bene. Sciolti
dubbi e riserve ma soprattutto guadagnando fiducia, professionisti
e imprese hanno cominciato, come ogni operatore economico, a
pianificare il futuro investendo in formazione, personale,
magazzini, materiali… Investimenti figli soprattutto delle grandi
possibilità offerte dal binomio superbonus-cessione del
credito.

Ed è forse proprio questo il problema: in Italia, soprattutto,
in alcuni settori pianificare è una scelta antieconomica che non
prende in considerazione molte varabili, tra cui la poca
trasparenza e l’eccessiva schizofrenia normativa del
legislatore.

Le modifiche arrivate nel 2022, infatti, hanno trasformato il
superbonus 110% nel peggior investimento mai visto nella storia
degli ultimi 20 anni. Una detrazione nata con il migliore dei
presupposti ha generato crediti che molti non riusciranno a
trasformare in liquidità. E con il cassetto pieno di crediti e il
portafoglio vuoto, anche lo stomaco e i nervi ne risentono (e
vorrei vedere!).

Professionisti e imprese che sulla base di un vero e proprio “contratto” con lo Stato hanno, ingenuamente, creduto che lavori
avviati sulla base di un quadro normativo non potessero essere
inficiati da un cambio in corsa delle regole. Cambio che invece è
puntualmente arrivato, quattro volte (fino adesso)!

Quindi? Si potrebbero fare mille proposte, anche se la
sensazione sia che la scelta dell’attuale Governo sia chiara.
Scelte sulle quali si può discutere tanto senza mettersi d’accordo.
Ma una cosa è certa: serve trovare una soluzione per chi ha avviato
i cantieri sulla base di regole differenti e che oggi si trova in
questa paradossale e malsana condizione di aver lavorato gratis non
riuscendo a trasformare i crediti in denaro liquido.

Dichiarazioni a parte, Governo e Parlamento devono garantire la
sopravvivenza di chi ha lavorato e ha investito non soltanto nella
propria attività, ma anche nel futuro del Paese.

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