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Superbonus e bonus casa: lo stop alla cessione del credito e il rischio paralisi dei cantieri – Corriere della Sera

Il dl 4/22, ribattezzato “Sostegni ter”, è entrato in vigore il 27 gennaio scorso e prevede il divieto a chi abbia acquisito un credito fiscale di cederlo ad altri. L’impresa che ha effettuato la sconto in fattura potrà cedere una volta sola il credito a un operatore che a sua volta non potrà più ricederlo. Chi ha maturato crediti prima dell’entrata in vigore del decreto potrà cedere una volta sola entro il 7 febbraio. Questa disposizione ha fatto suonare l’allarme rosso ai costruttori edili perché paventano il blocco delle attività legate ai bonus, in un quadro normativo che era già cambiato in maniera radicale con le disposizioni del cosiddetto decreto antifrode dello scorso novembre, mai convertito in legge perché le norme sono state con qualche modifica assorbite dalla Legge di Bilancio 2022.

Lo stop alla cessione

Segnali di rallentamento delle attività di cessione si erano già registrati nelle ultime settimane e qui segnalavamo che il fenomeno riguardava soprattutto le Poste, uno dei soggetti più attivi nel business. Non meraviglia quindi la notizia, riportata da Italia Oggi, che Cdp avrebbe deciso di non effettuare più operazioni di cessione e che le Poste, controllate da Cdp, si appresterebbero a fare lo stesso. Interpellate dal Corriere Cdp e Poste non hanno smentito la notizia, ma hanno diplomaticamente risposto che “è in corso un processo di valutazione”.


Un problema tecnico e politico

Il problema del divieto di doppia cessione è tecnico ma ovviamente anche politico e da più parti si chiede un allentamento della norma in sede di conversione. Il senatore Pd e presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea a Palazzo Madama, Dario Stefàno, ha definito un «errore» la scelta di bloccare la cessione multipla dei crediti, perché «rischia di azzoppare il comparto edile». Con quanto contenuto nel dl Sostegni-ter, «rischiamo una brusca frenata del PIL, la perdita di ulteriori posti di lavoro e il mancato goal in tema di transizione energetica». A fargli eco è Forza Italia, che plaude alla decisione dell’esecutivo di «rendere più stringenti i controlli per evitare abusi e truffe», ma allo stesso tempo «l’esigenza sacrosanta di ripristinare la legalità non può e non deve trasformarsi in burocrazia inutile e sprechi di tempo, ma, soprattutto, in fallimenti e buchi nei bilanci delle aziende dovuti a norme perfino retroattive». Il Movimento 5 Stelle, che il 2 febbraio ha coordinato un tavolo con decine di associazioni d’impresa, chiede la modifica della norma per evitare di «rallentare o circoscrivere le potenzialità di una misura che ha avuto un effetto indiscutibile nel rivitalizzare l’edilizia e nel contribuire alla crescita record del Pil italiano nel 2021».

Si prospetta un nuovo braccio di ferro

Alla luce di tutto questo, si prospetta quindi una riedizione del braccio di ferro che in occasione della Legge di Bilancio ha visto contrapporsi sul Superbonus da una parte il ministro dell’Economia e il presidente del Consiglio (che nella conferenza stampa di fine anno non ha fatto mistero di non apprezzare particolarmente quella misura) e le forze politiche. In questo caso da una parte c’è la necessità di eliminare le truffe e il rischio di riciclaggio che una gestione allegra delle cessioni ha già evidenziato; dall’altra l’esigenza, appunto, di non bloccare le agevolazioni.

Il divieto di cessione rischia di paralizzare l’attività

Perché il divieto di sub cessione del credito rischia di paralizzare l’attività? Per due buone ragioni. La prima è reputazionale. Se il credito derivasse da lavori inesistenti o su lavori eseguiti ma a costi gonfiati il cessionario in teoria non rischierebbe nulla perché l’erario si rifarebbe comunque sul contribuente, per il principio del terzo in buona fede. Ma ovviamente per essere ritenuti in buona fede è necessario effettuare controlli che con le norme dell’antifrode devono essere più stringenti. E comunque nessuna banca ha interesse a vedere legato il suo nome a operazioni dubbie. Il secondo motivo è puramente fiscale. La dimensione delle cifre in gioco è diversa ma una società che compra crediti fiscali si trova nella stessa situazione del contribuente che ha diritto a molte detrazioni e che rischia (ad esempio perché incassa meno del previsto) al punto da non potere sfruttare fino in fondo le agevolazioni per “incapienza”.

I limiti del rimborso diretto

Potendo rivendere le cessioni il primo cessionario in tutti i casi aveva la garanzia di non trovarsi mai incapiente e con un’accorta politica di trading ci poteva anzi guadagnare. Certo, sulla carta al proprietario di casa o al condòmino rimane la possibilità di optare per il rimborso diretto. Ma nella pratica succede che il superbonus sono richieste opere da decine di migliaia di euro e anche chi ne dispone non ha nessun interesse ad aspettare cinque annualità fiscali per incassare il rimborso.

Source: corriere.it

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