Affidare a un’impresa l’appalto di lavori sui propri immobili,
si sa, è un’operazione delicata, che impone attenzione nella scelta
dell’esecutore e vigilanza sulla correttezza del suo operato.
Nessun proprietario, infatti, desidera ritrovarsi a cantiere chiuso
con in mano un’opera difettosa. Nel malaugurato caso in cui ciò
accadesse, però, il rimedio, è quello dell’art. 1667 cc:
l’appaltatore è tenuto a garantire per le difformità e i vizi
dell’opera realizzata, purché questa non sia stata accettata dal
committente o i vizi fossero da lui conosciuti o riconoscibili.
L’art. 1667, però, si applica solo in caso di lavori terminati.
Ma può capitare che un proprietario, notando comportamenti
irregolari da parte dell’appaltatore, decida di recedere
unilateralmente dal contratto (scelta legittima e prevista
dall’art. 1671 cc), per impedire la prosecuzione di un’opera che
non lo soddisfa. Cosa accade, allora, se all’interno di tale
“cantiere a metà” sono comunque presenti lavorazioni non conformi a
quelle commissionate, o se l’impresa ha messo in atto inadempimenti
o comunque cagionato danni? La disciplina da
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